di Livio William Corso
Nel panorama degli infortuni sul lavoro in Italia, le cadute dall’alto si confermano come prima causa di incidenti mortali, incidendo per circa il 25% del totale delle morti sul lavoro. Si tratta, in prevalenza, di eventi che avvengono in settori ad alto rischio come l’edilizia, la manutenzione industriale, le attività impiantistiche e persino in contesti sanitari e portuali.
Analizzando i dati forniti da INAIL, emerge una tendenza apparente alla riduzione degli infortuni. Nel 2008, le denunce di infortunio erano circa 878.000, con un numero di decessi che superava le 1.600 unità. Nel 2024, il numero di infortuni è sceso a 511.600, ma le vittime sul lavoro si attestano ancora attorno alle 1.100 unità. In termini percentuali, ciò significa che mentre gli infortuni complessivi sono diminuiti di oltre il 40%, le morti sono calate solo del 31%, facendo aumentare l’indice di letalità (rapporto morti/infortuni). Questo dato rivela un cambiamento strutturale nel tipo di infortuni: diminuiscono quelli meno gravi, anche grazie all’automazione, alla digitalizzazione e alla cultura della sicurezza che si va diffondendo, ma persistono – e restano troppo spesso fatali – quelli legati alle attività in quota, dove le misure di prevenzione non vengono adottate o non risultano efficaci. L’INAIL, nel suo rapporto 2023, sottolinea come il settore delle costruzioni registri il più alto tasso di incidenza di infortuni mortali, con oltre 170 decessi annuali, molti dei quali per caduta da tetti, ponteggi o impalcature. Solo nel comparto edilizio, circa 1 incidente mortale su 2 è riconducibile a cadute dall’alto o a mancanza di idonei sistemi di protezione collettiva e individuale. Questo scenario impone alcune riflessioni tecniche e politiche:
In sintesi, la riduzione degli infortuni non può farci dimenticare che la qualità della prevenzione deve essere misurata non solo in quantità, ma in gravità. Se gli infortuni si riducono, ma le morti non calano in proporzione, significa che stiamo abbassando il rumore di fondo, ma non stiamo agendo dove davvero si muore.
Solo un cambio di paradigma può invertire questa tendenza: dalla cultura del rischio accettato a quella della tolleranza zero verso le morti sul lavoro.
È dunque fondamentale che si avvii un’azione corale a livello nazionale per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori del settore. Gli ordini professionali, le associazioni di categoria e le istituzioni devono unirsi in una campagna permanente di cultura della sicurezza, promuovendo eventi, percorsi formativi e buone pratiche. Solo attraverso un’alleanza tra tecnici, imprese e decisori politici sarà possibile costruire una nuova consapevolezza collettiva e ridurre concretamente le morti evitabili.


