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SPRECO ZERO, OBIETTIVO POSSIBILE: Andrea Segrè e la sfida per un’Italia più consapevole e sostenibile

2025-07-31 10:48

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SPRECO ZERO, OBIETTIVO POSSIBILE: Andrea Segrè e la sfida per un’Italia più consapevole e sostenibile

di Michele Montefusco

di Michele Montefusco


Andrea Segrè è professore ordinario di Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile all’Università di Bologna, dove è stato preside della Facoltà di Agraria e direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari. Presidente della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e del Centro Agroalimentare di Bologna, è fondatore di Last Minute Market-impresa sociale, spin off accreditato dell’Università di Bologna, ideatore della campagna Spreco Zero e della Giornata nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari. Attualmente è direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International e consigliere speciale del Sindaco di Bologna per le Politiche alimentari urbane e metropolitane. Ha ricevuto diversi premi fra i quali: il premio internazionale Pellegrino Artusi (2012), il San Giusto d’Oro (2020), il premio internazionale Don Pino Puglisi. Ultimi saggi: Parole del nostro tempo (con il Card. Matteo Zuppi, 2020); D(i)ritto al cibo (2022); Lo spreco alimentare in Italia e nel mondo (con E. Risso, 2023), La spesa nel carrello degli altri. L’Italia e l’impoverimento alimentare (con I. Pertot, 2024 e la prefazione di Matteo Zuppi).

Quali sono stati i risultati più significativi ottenuti dalla campagna Spreco Zero in questi anni, e come ne misurate concretamente l’impatto?
“Con lo spin off dell’Università di Bologna Last Minute Market studiamo e cerchiamo soluzioni per ridurre lo spreco alimentare sin dalla fine degli anni ’90. Siamo partiti con il recupero delle eccedenze e delle perdite alimentari a fini caritativi, azione che da allora continua. Nel tempo però i nostri studi hanno dimostrato che gran parte degli sprechi avviene nelle economie domestiche, cioè in casa nostra: siamo intorno al 50-70% del totale. Per questo nel 2010 abbiamo lanciato la Campagna Spreco Zero e nel 2013 l’Osservatorio Waste Watcher per capire meglio le ragioni dello spreco domestico e promuovere politiche pubbliche e strategie private che favoriscano la prevenzione. Ciò che gettiamo via a casa nostra non è recuperabile e viene smaltito come rifiuto alimentare con i relativi costi economici e ambientali. Con riferimento al Rapporto 2025 (dati e aggiornamenti si trovano qui: www. sprecozero.it) il quadro, in sintesi, è il seguente. In valore la somma delle perdite (agricoltura, industria alimentare, distribuzione) e dello spreco (consumo domestico ed extradomestico) vale oltre 14 miliardi di Euro. Ma solo lo spreco domestico vale 8,2 miliardi di Euro ovvero quasi il 60% del totale. Si tratta di un po’ meno di un punto percentuale del Pil italiano, senza contare il costo dello smaltimento dei rifiuti alimentari e neppure il valore del capitale naturale – suolo, acqua, energia – utilizzato per produrre gli alimenti. Nel 2025 lo spreco alimentare nelle famiglie italiane, come detto la parte più rilevante rispeto al totale, ha registrato un incremento del 9% rispetto al 2024 nella quantità procapite settimanale: 617,9g. Si noti che la rilevazione al “grammo” è importante perché deriva dalla somma degli alimenti che, ancora buoni, finiscono nella spazzatura: frutta fresca (24,3 g), cipolle, aglio e tuberi (17,4 g), pane fresco (21,2 g), insalata (19,4 g), verdure (20,5 g). Si tratta di alimenti che costituiscono la base di una dieta sana e sostenibile, che invece diventano rifiuto alimentare. Perché, a differenza delle perdite in agricoltura, industria distribuzione e in parte consumo extra domestico, dove le eccedenze e perdite si possono recuperare, lo spreco a livello domestico finisce nella spazzatura come rifiuto e come tale va smaltito: quindi la parola chiave è prevenzione.”

Qual è il ruolo dell’Osservatorio Waste Watcher nella definizione di politiche pubbliche e strategie aziendali contro lo spreco alimentare?

“Lo spreco, quello domestico in particolare, è spesso una questione di comportamenti sbagliati, di mancanza di conoscenza e consapevolezza. Dalle indagini svolte in questi anni emergono alcune raccomandazioni e indirizzi in particolare per il decisore pubblico che potrebbero trovare una possibile applicazione. Faccio un esempio concreto. Negli ultimi anni è emerso con chiarezza lo stretto legame fra spreco, povertà, dieta e salute. La fotografia nazionale scattata da Waste Watcher nel 2025 evidenzia come, rispetto alla media, la fascia di popolazione che spreca più alimenti è il ceto popolare: +26%. Le fasce meno abbienti della popolazione - quelle che sentono maggiormente la crisi economica e il peso dell’inflazione alimentare - diminuiscono gli acquisti di alimenti e ne abbassano drammaticamente la qualità. Lo spreco è addirittura doppio. Da un lato gli alimenti deperiscono prima, è il caso ad esempio dell’ortofrutta, dall’altro quando consumati il basso valore nutrizionale, il cosiddetto cibo spazzatura, peggiora la dieta e la salute. Non a caso le fasce più fragili della popolazione sono maggiormente in sovrappeso e obese e soffrono delle patologie legate alla malnutrizione. Le azioni da adottare andrebbero inquadrate nelle politiche alimentari locali (food policy) con il preliminare riconoscimento a livello locale del diritto al cibo, come dimostra la recente esperienza del Comune e della Città metropolitana di Bologna dove questo diritto è stato inserito nello statuto. Sancito per la prima volta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948, art 25), il diritto al cibo (ius cibi) presuppone una serie di azioni che a livello locale si possono già implementare e integrare per fare in modo che si possa garantire a tutti un’alimentazione adeguata, sufficiente, nutriente, compatibile culturalmente. Un diritto di fatto negato. In particolare per la riduzione delle perdite si possono implementare progetti di logistica solidale (hub dedicati, mercati, centri agroalimentari) per andare a beneficiare con il recupero le fasce meno abbienti della popolazione.”

In vista dell’Agenda 2030, quali nuove iniziative o collaborazioni state pianificando per coinvolgere sempre più soggetti pubblici e privati nella cultura dello spreco zero?
“Mancano pochi anni al 2030 e se andiamo avanti così credo che sarà impossibile raggiungere i Sustainable Development Goals (SDGs). Basta prendere come riferimento i primi due, povertà e fame, per comprendere che da qui a 5 anni sarà impossibile arrivare a zero. Invece per lo spreco l’obiettivo di ridurlo al 50% (Target 12.3) è, anzi sarebbe ancora possibile. Certo però deve essere noto il dato di partenza (2015) e il punto di arrivo (2030) e deve essere effettuato un monitoraggio annuale per sapere se stiamo andando o meno nella giusta direzione. E di conseguenza vanno promosse politiche pubbliche e strategie private per arrivare all’obiettivo. E’ esattamente ciò che stiamo facendo per l’Italia con la Campagna Spreco Zero, campagna di comunicazione pubblica che richiama addirittura l’azzeramento dello spreco. In verità ci potremmo accontentare del 50% in meno, che sarebbe già un buon risultato. Concretamente significherebbe arrivare a circa 350g pro-capite a settimana considerando che nel 2015, secondo il nostro Osservatorio, eravamo a circa 700g. Oggi siamo a circa 600g pro-capite a settimana. Dunque è ancora possibile, se ci impegnamo, ad arrivare all’Obiettivo. I nostri dati chiamano istituzioni e politica a intervenire sulla sulla prevenzione, come del resto ci chiede l’Europa: il miglior spreco è quello che non si fa. Perché, a differenza delle perdite in agricoltura, industria distribuzione e in parte consumo extra domestico, dove le eccedenze si possono recuperare, lo spreco domestico finisce come detto nella spazzatura come rifiuto: quindi la parola chiave è appunto prevenzione. Che fa rima con educazione ovvero educazione alimentare da rendere obbligatoria in tutte le scuole italiane a partire dalle primarie. Lo chiediamo dal 2007 se non ricordo male, ma nonostante in Italia il cibo e l’alimentazione siano centrali nella narrazione collettiva, sull’educazione scolastica poco è stato fatto e certamente non bastano le 33 ore dedicate all’educazione civica, dove l’alimentazione è del tutto marginale. In attesa che le istituzioni promuovano l’educazione alimentare nelle scuole come Campagna Spreco Zero abbiamo lanciato uno strumento digitale, l’applicazione Sprecometro, che misura gli impatti economici, e ambientali dello spreco domestico dei cittadini e promuove l’adozione di un’alimentazione sana e sostenibile attraverso dei contenuti dedicati.”