di Andrea Striano    La reintroduzione di dazi doganali tra Stati Uniti ed Unione Europe — in particolare quelli annunciati dall’amministrazione Trump su beni europei, attualmente superiori, ma che potrebbero alla fine attestarsi su aliquote comprese tra il 10% e il 15% — ha suscitato un immediato allarme nei commentatori economici e politici. Tuttavia, una lettura più articolata invita a considerare tali misure non esclusivamente come un danno commerciale, ma piuttosto come un fattore catalizzatore per un esame di coscienza collettivo dell’Unione Europea, sia sul piano identitario che strategico.  Il danno economico relativo: resilienza strutturale del Made in Italy Nel caso italiano, l’impatto dei dazi — seppur non trascurabile — appare contenuto grazie ad alcuni fattori strutturali. In primo luogo, i settori coinvolti sono spesso caratterizzati da un’alta elasticità reputazionale: il consumatore statunitense, soprattutto nei segmenti medio-alti, percepisce il prodotto italiano come bene culturale, più che merce fungibile. Ne consegue una domanda relativamente anallergica a rincari moderati, come quelli generati da dazi inferiori al 20%. Inoltre, molte imprese italiane hanno negli ultimi anni avviato percorsi di internazionalizzazione diretta, disintermediando il canale export classico e rafforzando il legame con il consumatore finale. L’adozione di strumenti digitali, canali e-commerce e reti di distribuzione locali rende oggi le filiere nazionali meno esposte alle oscillazioni tariffarie.   Antropologia del commercio: il dazio come atto simbolico Sul piano antropologico e simbolico, la misura protezionistica assume un significato più ampio. Non si tratta soltanto di un atto economico, ma di una dichiarazione di forza in un mondo in cui il commercio è sempre più utilizzato come leva geopolitica. L’identità culturale veicolata dai prodotti italiani — soprattutto nei settori alimentari, moda e design — viene così implicitamente posta sotto attacco. Tuttavia, anziché percepirsi come vittime passive, i Paesi membri dell’UE (e l’Italia in particolare) possono cogliere questa dinamica per rivalutare criticamente la propria posizione nel mondo. Difendere la qualità produttiva diventa così un atto politico e culturale, non soltanto economico.   Esame di coscienza per l’Unione Europea I dazi di Trump pongono anche una domanda urgente alla struttura dell’Unione Europea, spesso percepita come un gigante economico con coscienza strategica immatura. La risposta dell’UE a misure unilaterali, protezionistiche e potenzialmente arbitrarie dovrebbe essere il riflesso di una visione politica coesa, e non il frutto di compromessi tecnocratici o rinvii procedurali. Questa situazione potrebbe e dovrebbe portare l’Unione a interrogarsi su almeno tre fronti:
Membro del dipartimento nazionale imprese e mondi produttivi di Fratelli d’Italia
Doveri etici e visione normativa: verso una governance equa del commercio globale
L’imposizione di dazi in chiave unilaterale solleva interrogativi di natura etica. Le relazioni commerciali dovrebbero essere fondate su principi di equità, reciprocità e non discriminazione — valori formalmente sanciti nel sistema multilaterale del WTO, ma spesso disattesi nella prassi.
Da parte sua, l’UE è chiamata a rispondere non con misure ritorsive, ma con una strategia normativa coerente e responsabile, che difenda le proprie eccellenze, promuova la sostenibilità senza sacrificare la competitività, e rafforzi gli strumenti giuridici di protezione del mercato interno.
Dal protezionismo al protagonismo europeo
In definitiva, i dazi statunitensi del 10–15% — qualora venissero confermati — non rappresentano solo un rischio, ma anche un’occasione di consapevolezza e riorientamento. Per l’Italia, sono un richiamo a valorizzare il proprio capitale simbolico e produttivo. Per l’Unione Europea, costituiscono un’opportunità per uscire dal torpore normativo, rivedere criticamente la propria governance economica e rilanciare una visione autenticamente politica del proprio ruolo nel mondo.
Nel nuovo ordine globale, anche un dazio del 10% può valere come un 100% di sveglia politica.


