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Made in Italy: il bello non emigra.

2025-07-16 15:00

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Made in Italy: il bello non emigra.

di Andrea Striano

di Andrea Striano

Membro del dipartimento nazionale imprese e mondi produttivi di Fratelli d’Italia





Il Made in Italy è molto più di un marchio: è una combinazione unica di qualità artigianale, creatività e capacità imprenditoriale che ha conquistato i mercati mondiali. Tuttavia, questo patrimonio straordinario sta attraversando sfide complesse legate ai cambiamenti della produzione globale e alle nuove dinamiche economiche. Nel 2024, la produzione industriale italiana ha registrato un calo del 3,5% rispetto al 2023, eppure il valore complessivo dei marchi italiani è cresciuto del 9%, toccando quota 191 miliardi di euro secondo Brand Finance. È il segnale che, nonostante le difficoltà, la forza e il fascino del Made in Italy restano intatti e costituiscono ancora una risorsa preziosa per il futuro del Paese.


Negli ultimi vent’anni, alcune produzioni storiche come il tessile, il calzaturiero, l’arredamento e gli elettrodomestici hanno scelto di spostare parte delle proprie attività in Paesi dove il costo del lavoro è più basso, come Romania, Bulgaria, Turchia o Nord Africa. Eppure, queste strategie non cancellano il valore insostituibile delle competenze italiane. Anche nei casi più noti, come Candy che dal 2025 trasformerà lo stabilimento di Brugherio in un centro logistico del gruppo Haier, o Beko che ha annunciato spostamenti produttivi verso la Turchia ed Egitto, l’industria italiana continua a dimostrare la capacità di riposizionarsi, di reinventarsi e di puntare su prodotti a più alto valore aggiunto. Nonostante il 60% degli investimenti diretti esteri delle imprese italiane nel 2024 si sia concentrato nell’Europa centro-orientale, cresce anche l’interesse a riportare in Italia produzioni strategiche, grazie a nuovi incentivi e alle potenzialità offerte dall’innovazione.


La questione centrale è la perdita di know-how quando la produzione si sposta altrove. Ma molte aziende italiane stanno reagendo investendo proprio sul talento delle persone e sulla qualità, vero pilastro del nostro successo internazionale. Come spiega un imprenditore veneto del settore calzaturiero: “quando un’azienda sposta la produzione, non perde solo operai, ma competenze che ci distinguono nel mondo”. Proprio per questo, la scommessa sul reshoring, cioè il ritorno in Italia di produzioni precedentemente delocalizzate, si sta rafforzando, sostenuta anche da una crescente sensibilità dei consumatori verso la tracciabilità e l’origine dei prodotti.


Il contesto resta impegnativo. Il costo dell’energia, ad esempio, ha inciso molto sulla competitività, soprattutto nei settori energivori come la ceramica o la metallurgia, dove la guerra in Ucraina ha generato rincari importanti. Tuttavia, molte imprese italiane stanno affrontando queste difficoltà puntando su soluzioni innovative e tecnologie green, come dimostra l’interesse crescente verso il Fondo per la Transizione Industriale, che nel 2025 mette a disposizione quasi 498 milioni di euro per sostenere la sostenibilità ambientale e digitale.


Anche sul fronte digitale, sebbene il ritardo sia evidente – solo il 7% delle PMI ha adottato tecnologie avanzate, contro il 53% delle grandi imprese – si respira un clima di accelerazione. Il mercato dell’intelligenza artificiale in Italia è cresciuto del 58% nel 2024, aprendo opportunità immense anche per settori tradizionali come la moda o l’arredamento, sempre più integrati con piattaforme digitali e strategie di export online. L’accesso al credito resta più selettivo per le piccole imprese, ma stanno prendendo piede nuovi strumenti di finanza agevolata e canali alternativi, come il crowdfunding industriale, che possono offrire nuova linfa agli investimenti.


Non mancano storie emblematiche che testimoniano la resilienza del Made in Italy. La Perla, eccellenza del tessile emiliano-romagnolo, ha superato un momento critico grazie a un piano di risanamento, salvaguardando 300 posti di lavoro. Anche nel distretto di Montebelluna, in Veneto, colpito dalla concorrenza asiatica nel settore calzaturiero, diverse imprese stanno riposizionandosi su nicchie di mercato ad altissima qualità, puntando su tecnologie sostenibili e sul valore del “fatto in Italia”.


Il governo italiano sta cercando di accompagnare queste trasformazioni con misure mirate. Oltre al Fondo per la Transizione Industriale, sono stati attivati Contratti di Sviluppo nelle Zone Economiche Speciali, la Legge sul Made in Italy ha introdotto incentivi all’export e strumenti più rigorosi per combattere la contraffazione, mentre il golden power continua a proteggere comparti strategici come quello degli elettrodomestici. Nel 2024, il nuovo Codice della Crisi d’Impresa ha permesso a oltre 4.300 aziende di evitare il fallimento attraverso la composizione negoziata, mentre fondi specifici incentivano l’acquisto di elettrodomestici prodotti in Europa e tutelano il settore moda.


Sebbene la sfida sia impegnativa, il Made in Italy conserva enormi margini di crescita, perché il mondo continua ad apprezzare la qualità, la cura artigianale e lo stile inconfondibile dei prodotti italiani. La vera partita si gioca sulla capacità di unire tradizione e innovazione, rispondendo alle nuove regole della sostenibilità, della digitalizzazione e della velocità dei mercati globali.


Non è solo una questione economica: è una sfida identitaria e culturale. L’Italia ha tutte le carte in regola per trasformare questa fase di cambiamento in una nuova stagione di leadership industriale. Scegliere il Made in Italy significa oggi sostenere il lavoro, la creatività e il talento che rendono il nostro Paese unico. E guardare al futuro con fiducia, convinti che le eccellenze italiane continueranno a brillare sui mercati internazionali.