di Cecilia Capanna  
La contraffazione si configura oggi come una minaccia strutturale per il sistema economico globale e, in particolare, per quello italiano. Si tratta di un fenomeno criminale transnazionale che incide in maniera significativa sulla concorrenza leale, sull’efficienza del mercato, sulla tutela della proprietà intellettuale e sulla sicurezza dei consumatori, oltre a generare rilevanti impatti occupazionali, ambientali e fiscali.
Secondo i dati contenuti nel report congiunto EUIPO–Commissione Europea, nel 2023 sono stati sequestrati oltre 152 milioni di articoli contraffatti, per un valore complessivo stimato di circa 3,4 miliardi di euro, segnando un aumento del 77 % rispetto al 2022. L’Italia ha rappresentato circa il 74 % del totale dei sequestri nell’UE, confermandosi come uno dei principali snodi europei nella filiera del falso. A livello globale, il rapporto Mapping Global Trade in Fakes 2025 di OCSE e EUIPO evidenzia che, nel periodo 2020–2021, i beni contraffatti rappresentavano il 4,7 % delle importazioni europee e il 2,3 % di quelle mondiali. Le implicazioni della contraffazione travalicano la mera lesione dei diritti di proprietà intellettuale. Sul piano macroeconomico, si traducono in perdite dirette di gettito fiscale, erosione del PIL, concorrenza sleale e distorsione delle dinamiche di mercato. Si stima che, nel solo 2023, le importazioni di prodotti contraffatti nell’UE abbiano superato i 117 miliardi di euro, con la conseguente perdita di circa 88.000 posti di lavoro nei settori direttamente colpiti, tra cui manifattura, logistica e distribuzione. Sotto il profilo della sicurezza, il rischio riguarda prodotti destinati al consumo di massa: farmaci, cosmetici, alimenti, giocattoli, componentistica per auto, dispositivi elettronici spesso fabbricati in ambienti non conformi agli standard normativi. Inoltre, la contraffazione alimenta circuiti criminali internazionali, contribuendo al finanziamento di organizzazioni dedite ad attività illecite. Le merci false provengono in gran parte da Paesi terzi, con Cina, Hong Kong e Turchia ai primi posti, ma esiste anche un traffico intra-UE e una quota significativa di produzione nazionale clandestina. A livello regolamentare, il quadro europeo è attualmente disciplinato dal Regolamento (UE) n. 608/2013, affiancato dal Regolamento (UE) n. 2424/2015, che rafforzano i poteri delle autorità doganali e introducono meccanismi semplificati per il sequestro di piccole spedizioni, oggi tra i principali canali di distribuzione della merce contraffatta.
Il settore moda: un bersaglio strategico
Tra i comparti maggiormente colpiti dalla contraffazione si distingue il settore della moda e del lusso, sia per il suo peso economico che per il valore simbolico dei marchi coinvolti. Negli ultimi anni, la distribuzione dei prodotti contraffatti si è trasformata radicalmente, sfruttando le potenzialità offerte dalle piattaforme digitali, dai marketplace online e dai social media. Questo nuovo ecosistema ha reso le attività di brand protection notevolmente più complesse. Una delle strategie più insidiose è quella che unisce marketplace internazionali, come DHgate e AliExpress, a un utilizzo mirato dei social network. Le inserzioni ufficiali pubblicate su queste piattaforme presentano prodotti apparentemente innocui o generici. Tuttavia, attraverso contenuti diffusi da influencer specializzati (fungendo da promotori occulti di prodotti contraffatti) gli utenti scoprono cosa si cela realmente dietro agli annunci. Tramite codici personalizzati o link criptati, il consumatore viene guidato all’acquisto di articoli contraffatti, spesso di altissima qualità e difficili da distinguere dagli originali. Il risultato è una triangolazione comunicativa che rende quasi impossibile l’intervento legale: le inserzioni visibili non violano formalmente le regole, mentre l’effettiva transazione avviene attraverso canali alternativi, sfruttando la viralità e l’anonimato delle reti sociali. Parallelamente, anche il mercato del reselling e del vintage di lusso è oggi sempre più esposto alla diffusione di prodotti contraffatti, che stanno rapidamente conquistando spazio persino su piattaforme ritenute tra le più affidabili del settore. È il caso di Vestiaire Collective, realtà leader nella compravendita di articoli firmati secondhand, che ha recentemente introdotto un significativo cambiamento nelle proprie policy: per alcuni marchi, l’autenticazione viene effettuata esclusivamente previo esame della fattura d’acquisto. Tale scelta evidenzia una duplice criticità. Da un lato, solleva interrogativi sull’effettiva affidabilità delle procedure di autenticazione tradizionali, spesso fondate su valutazioni visive e non documentali. Dall’altro, segnala l’inquietante velocità con cui il mercato del falso sta evolvendo, affinando tecniche produttive e distributive tali da generare beni pressoché indistinguibili dagli originali, sia per materiali che per finiture.
Un’urgenza economica e culturale
La contraffazione non rappresenta soltanto un danno economico per le imprese: costituisce un attacco diretto all’integrità del sistema economico legale, alla sicurezza dei cittadini e alla qualità del lavoro. Contrastarla richiede un approccio multilivello: rafforzamento dei controlli doganali, cooperazione internazionale, maggiore responsabilità da parte delle piattaforme digitali, ma anche educazione civica e sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Difendere la proprietà intellettuale significa proteggere l’innovazione, il lavoro e l’eccellenza del Made in Italy. In un mercato globale dove la contraffazione si mimetizza tra profili social e pacchi anonimi, la vera sfida è culturale: riconoscere il valore dell’autenticità in un mondo in cui il falso si fa sempre più credibile.
  


