SOCIAL
a10bfbfc-fbfb-4c14-8f81-0d79ee1bf773
a10bfbfc-fbfb-4c14-8f81-0d79ee1bf773
CONTATTACI
INDIRIZZO
SOCIAL

info@spazioimprese.com

Via Nizza, 53 – 00198, Roma

Via Nomentana, 56 - 00161 Roma


instagram
linkedin

+39 333 768 54 57

© copyright 2023 | C.F. 96568340580 | All Rights Reserved.

I Dazi di Trump: Liberation Day e il freno al commercio globale

2025-04-04 18:18

Array( [86865] => Array ( [author_name] => Emidio SIlenzi [author_description] => [slug] => emidio-silenzi ) [87630] => Array ( [author_name] => Andrea Striano [author_description] => [slug] => andrea-striano )) no author 86807

USA, imprese, italia, ue, usa, dazi, trump,

I Dazi di Trump: Liberation Day e il freno al commercio globale

Di Andrea Striano, Membro del Dipartimento Nazionale Imprese e MondiProduttivi di Fratelli d’Italia

Di Andrea Striano, Membro del Dipartimento Nazionale Imprese e Mondi Produttivi di Fratelli d’Italia



“Dazi che pesano, mercati che oscillano: il mondo si muove, e noi non stiamo fermi.”

Un giorno chiamato "Liberation Day", un titolo che suggerisce apertura e libertà, ma che in realtà appare come una barriera costruita all’improvviso, un ostacolo concreto e immediato per il commercio internazionale. È il 2 aprile 2025, e in quel preciso momento, dal Rose Garden della Casa Bianca, Donald Trump presenta al mondo il suo "Liberation Day". Si tratta di una serie di dazi, una decisione politica ed economica che cambia il panorama del commercio globale con una rapidità sorprendente. Parliamo di un 10% applicato su ogni prodotto che entra negli Stati Uniti, una tassa generale che colpisce senza eccezioni; un 20% che grava sull’Europa, incidendo direttamente sui suoi mercati e sulle sue industrie; e un 54% che si abbatte sulla Cina, una misura drastica che mira a limitare la sua influenza commerciale. L’Italia si trova subito coinvolta, posizionata in prima linea con tutto ciò che la rende unica e forte: il suo acciaio, fondamentale per la produzione industriale; i suoi vini, simbolo di qualità e tradizione; la sua moda, conosciuta e apprezzata ovunque; e le sue piccole imprese, che rappresentano la base dell’economia nazionale e il lavoro di milioni di persone.


Questo articolo ha l’obiettivo di accompagnarvi con chiarezza e un tocco di calore umano in un evento che ridefinisce le dinamiche economiche globali. Non si limita a riportare numeri o statistiche: vuole raccontare cosa c’è dietro, spiegare come queste cifre toccano la vita reale. Non è solo una questione di calcoli su un foglio: riguarda il lavoro che sostiene le nostre città, il cibo che arriva sulle tavole delle famiglie ogni giorno, il futuro che stiamo cercando di costruire passo dopo passo per noi e per chi verrà dopo. È una sfida seria, una situazione che richiede attenzione e impegno, ma abbiamo la capacità di affrontarla con intelligenza e determinazione. Adesso, con tutte le informazioni davanti a noi, è il momento di analizzare a fondo questa situazione e capire cosa significa davvero. Entriamo nel vivo.


Dazi: cosa significa per il commercio globale?


Pensate ai dazi come a una tassa aggiuntiva applicata al carrello della spesa, un costo che si somma a ogni acquisto: ogni prodotto che proviene dall’estero – acciaio utilizzato per costruire le nostre automobili, pasta destinata ai ristoranti americani, un abito firmato prodotto con cura – diventa più caro per chi lo importa. Questa tassa può servire a proteggere i produttori interni, dando un sostegno alle fabbriche locali e aiutandole a competere, ma il risultato frequente è che i prezzi aumentano per tutti i consumatori, non solo per chi compra direttamente dall’estero. Questo meccanismo ha due facce: da un lato può rafforzare l’economia di un Paese, dall’altro rischia di penalizzare chi dipende dai beni importati.


Ecco il grande dilemma economico che si presenta davanti a noi, una questione che divide studiosi e politici da secoli. Da una parte c’è il libero scambio, un sistema che ha permesso al mondo di prosperare, come dimostrò l’economista David Ricardo con la sua teoria del vantaggio comparato, spiegando come ogni nazione possa trarre beneficio producendo ciò in cui è più efficiente e commerciando con gli altri. Dall’altra parte c’è il protezionismo, un approccio che impone restrizioni e barriere per difendere la produzione nazionale, spesso a costo di ridurre gli scambi internazionali. Donald Trump, con il suo motto "America First", ha scelto chiaramente questa seconda strada, mettendo al centro gli interessi degli Stati Uniti sopra tutto il resto.


Il 2 aprile, parlando dal microfono della Casa Bianca, Trump espone il suo piano con precisione e determinazione: a partire dal 5 aprile, ogni importazione negli Stati Uniti sarà soggetta a un dazio del 10%, una misura generale che non fa distinzioni tra prodotti o Paesi. Ma ci sono eccezioni più severe per nazioni che, secondo lui, hanno approfittato troppo dell’economia americana: la Cina subirà un dazio del 54%, il Vietnam uno del 46%, l’India uno del 26%, mentre l’Europa, inclusa l’Italia, si troverà a pagare un 20% su tutto ciò che esporta negli USA. Queste percentuali non sono casuali: riflettono una strategia mirata a colpire chi Trump considera responsabile del disequilibrio commerciale americano.


Non è una decisione improvvisa o isolata. Già il 4 marzo, Canada e Messico avevano ricevuto una stangata con un dazio del 25% sui loro prodotti, una mossa che aveva fatto discutere. Poi, il 12 marzo, Trump aveva reintrodotto dazi sull’acciaio e sull’alluminio, ampliando le restrizioni a oggetti di uso quotidiano come lattine e tubi, prodotti che attraversano i confini ogni giorno in enormi quantità. Ma il "Liberation Day" segna un passo oltre, un momento cruciale giustificato dall’International Emergency Economic Powers Act, una legge che gli permette di dichiarare un’emergenza economica. L’obiettivo è chiaro: il deficit commerciale degli Stati Uniti, che nel 2024 ha raggiunto i 1.200 miliardi di dollari, deve essere eliminato. Trump immagina un ritorno alla produzione interna, con le fabbriche in Stati come l’Ohio che riprendono vita e gli operai che tornano ai loro posti di lavoro. È un’idea che si può capire, un desiderio di rilanciare l’industria americana, ma dall’altra parte dell’Atlantico, per Paesi come l’Italia, questa scelta crea difficoltà significative, spingendoci a riconsiderare il nostro posto nel commercio globale.


Le reazioni immediate: mercati in tempesta


I mercati reagiscono immediatamente, mostrando segni evidenti di preoccupazione. Wall Street termina la giornata con una chiusura in negativo, registrando perdite significative nei suoi principali indici azionari, un segnale chiaro dell’incertezza che si diffonde tra gli investitori. Grandi aziende come Apple e Nike, che dipendono in modo sostanziale dalle importazioni per i loro prodotti, assistono a un indebolimento delle loro azioni, con movimenti che riflettono il timore per i costi crescenti. Allo stesso modo, catene di negozi al dettaglio come Five Below subiscono un duro colpo, vedendo i loro titoli crollare nel giro di poche ore dall’annuncio. Nel frattempo, si nota un aumento nei prezzi dell’oro e dei titoli di Stato, un fenomeno che indica come operatori di mercato e risparmiatori stiano cercando opzioni più sicure per proteggere il loro capitale in un momento di instabilità.


Negli Stati Uniti, questa situazione potrebbe portare a un aumento dei prezzi al consumo, un effetto che tocca direttamente la vita quotidiana delle persone. Secondo le stime del Peterson Institute for International Economics, ogni famiglia americana potrebbe trovarsi a spendere circa 3.400 dollari in più all’anno, una cifra che deriva dai rincari su beni specifici: l’acciaio, ad esempio, diventa più costoso per produrre automobili, mentre i prodotti importati dalla Cina, presenti in molti negozi, vedono i loro prezzi salire sugli scaffali. Il dollaro, da parte sua, guadagna valore rispetto ad altre valute, un vantaggio per chi compra all’estero, ma questo crea difficoltà per le aziende americane che vendono i loro prodotti fuori dai confini nazionali, trovandosi meno competitive sui mercati internazionali.


Per noi in Europa, e in particolare per l’Italia, gli effetti non si faranno sentire solo nell’immediato, ma si protrarranno nel tempo, come una conseguenza inevitabile e duratura. I nostri prodotti, che esportiamo con orgoglio negli Stati Uniti, diventeranno più cari per i consumatori americani a causa dei dazi: dall’acciaio alle eccellenze alimentari, fino agli articoli di moda, tutto costerà di più. Questo potrebbe spingere i clienti americani a cercare alternative altrove, magari rivolgendosi a fornitori locali o a Paesi meno colpiti dalle tariffe. Tuttavia, la storia dei mercati ci insegna una lezione importante: dopo un momento di shock iniziale, le cose tendono a stabilizzarsi, i prezzi si aggiustano e le dinamiche economiche trovano un nuovo equilibrio. Spetta a noi, come Europa e come Italia, affrontare questa situazione con prontezza, cogliendo il cambiamento come un’occasione per adattarci, per trovare nuove strategie e per trasformare una difficoltà in una possibilità concreta di crescita.


L’impatto sull’Italia: chi vince e chi perde


L’export rappresenta la linfa vitale dell’economia italiana, un elemento essenziale che sostiene il nostro sistema produttivo e la nostra capacità di competere nel mondo. Nel 2024, il valore delle esportazioni ha raggiunto i 500 miliardi di euro, un risultato che testimonia la forza delle nostre imprese. Di questi, 50 miliardi sono stati destinati agli Stati Uniti, un mercato chiave per i nostri prodotti. Tra i settori più importanti c’è l’acciaio, un pilastro fondamentale per l’industria nazionale: ogni anno produciamo 21 milioni di tonnellate di questo materiale, di cui 1,2 milioni vengono inviati oltreoceano, generando un fatturato di 1,8 miliardi di euro. Tuttavia, il dazio del 25%, applicato non solo all’acciaio grezzo ma anche a tubi e componenti finiti, sta creando ostacoli significativi per le imprese del settore, che si trovano a dover affrontare costi aggiuntivi e una competizione più difficile sul mercato americano.


Ma il peso maggiore di queste misure non ricade solo sulle grandi aziende: a subire il colpo più duro sono le piccole e medie imprese, conosciute come PMI, che costituiscono la spina dorsale dell’Italia. Con un totale di 4,2 milioni di realtà produttive sparse su tutto il territorio, queste aziende impiegano circa il 70% della forza lavoro italiana, rappresentando una parte essenziale del nostro tessuto economico e sociale. Si tratta spesso di imprese specializzate, molte delle quali a conduzione familiare, che operano con passione e competenza in nicchie di mercato specifiche. Ora, però, queste realtà vedono i loro margini di profitto ridursi, messe sotto pressione da dazi che aumentano i costi e rendono più complicato mantenere la loro presenza negli Stati Uniti.


Anche altri settori di eccellenza italiana sono coinvolti. La moda, un gioiello del nostro Paese che genera un valore annuo di 100 miliardi di euro, esporta 10 miliardi di euro di prodotti negli USA. Con un dazio del 20% applicato su scarpe, borse e abiti firmati, marchi prestigiosi come Gucci e Prada diventano meno competitivi rispetto ai concorrenti locali o internazionali non colpiti dalle stesse tariffe, rischiando di perdere quote di mercato. L’agroalimentare, altro punto di forza nazionale, porta 5 miliardi di euro di export verso gli Stati Uniti: un vino come il Brunello, che sul mercato americano aveva un prezzo medio di 50 dollari, ora costa di più per i consumatori, e questo aumento potrebbe spingerli a scegliere alternative più economiche, riducendo l’attrattiva dei nostri prodotti. Persino l’elettronica e i componenti per macchinari, settori meno visibili ma cruciali, stanno affrontando difficoltà: i dazi causano ritardi nelle filiere globali, rallentando la consegna di pezzi fondamentali e complicando i rapporti con i clienti americani. Complessivamente, l’impatto sul sistema economico italiano è significativo: si stima che le perdite possano oscillare tra i 2 e i 3 miliardi di euro, una cifra che mette a rischio migliaia di posti di lavoro, soprattutto nelle realtà più fragili e meno attrezzate per assorbire questo genere di pressione.


Strategie per il futuro: come rispondere ai dazi di Trump


La reazione globale ai dazi di Trump è già in corso, con ogni Paese che cerca di tutelare i propri interessi in un contesto economico che cambia rapidamente. La Cina, colpita da un dazio del 54%, sta lavorando attivamente per trovare nuovi mercati dove collocare i suoi prodotti, esplorando opportunità alternative per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Canada e Messico, dopo aver subito misure al 25%, hanno deciso di rispondere con contromisure che riguardano beni americani per un valore complessivo di 125 miliardi di dollari, dimostrando una volontà chiara di non subire passivamente l’impatto. Nel frattempo, Giappone e Corea del Sud, Paesi con industrie solide e strategiche, stanno adottando provvedimenti cautelativi per proteggere i loro settori chiave, come quello automobilistico ed elettronico, mantenendo un approccio attento e misurato per limitare i danni.


Per l’Italia, affrontare questa situazione richiede una strategia intelligente e responsabile, un piano che tenga conto delle nostre specificità e della nostra posizione nel panorama internazionale. Non possiamo permetterci di reagire in modo impulsivo: serve una visione chiara e lungimirante. L’Europa, in questo senso, ha un ruolo cruciale da giocare e deve agire con urgenza per sostenere le sue imprese, ridando loro la competitività che rischiano di perdere sotto il peso dei dazi americani. Questo significa intervenire subito su più fronti: sospendere alcune norme del Green Deal che, pur nate con l’intento di promuovere la sostenibilità, hanno finito per aumentare i costi di produzione per le aziende, soprattutto in settori come l’industria pesante; semplificare la burocrazia, che troppo spesso rallenta le attività delle imprese con procedure lunghe e complesse; e incentivare un “Buy European”, una politica che dia priorità ai prodotti europei negli appalti pubblici, valorizzando ciò che viene realizzato all’interno dei nostri confini.


L’Italia, da parte sua, ha la possibilità di guardare oltre i mercati tradizionali e di stringere nuove alleanze economiche con regioni come l’Asia e il Medio Oriente, aree in crescita che potrebbero diventare destinazioni importanti per i nostri prodotti. Diversificare i mercati di sbocco non è solo una necessità, ma un’opportunità per ridurre la nostra vulnerabilità a shock come quello dei dazi americani. Allo stesso tempo, è fondamentale portare avanti negoziati pragmatici con gli Stati Uniti, un partner commerciale storico con cui possiamo trovare punti di incontro. In questi colloqui, l’Italia deve puntare sulle sue qualità distintive: la qualità superiore dei suoi prodotti, riconosciuta in tutto il mondo, e l’ingegno delle sue imprese, che hanno sempre saputo adattarsi alle difficoltà con creatività e determinazione.


A questo proposito, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha più volte sottolineato l’importanza di difendere il valore del Made in Italy, un patrimonio che non può essere sacrificato sull’altare di guerre commerciali. Urso spinge per un’Europa più unita e assertiva, capace di promuovere il “Buy European” come strumento concreto per rilanciare la produzione interna, un’idea che potrebbe trovare applicazione anche a livello nazionale. Allo stesso modo, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso la necessità di un approccio pragmatico e patriottico: per Meloni, l’Italia deve rispondere ai dazi con una strategia che protegga le sue imprese e i suoi lavoratori, cercando alleanze globali senza cedere terreno sulla sovranità economica. Entrambi vedono in questa crisi una chance per rafforzare l’identità produttiva italiana, trasformando una sfida in un’occasione di crescita.


Un bivio per il futuro


I dazi introdotti da Donald Trump rappresentano una sfida concreta per l’Italia e per l’Europa, un ostacolo che richiede una risposta pronta e ben studiata in un momento di incertezza economica globale. Non si tratta, però, solo di un problema da affrontare passivamente: ogni crisi, anche la più complessa, offre la possibilità di individuare nuove soluzioni e di aprire strade diverse. Se le nostre istituzioni, sia a livello nazionale che europeo, sapranno agire con determinazione e adottare politiche efficaci, pensate non solo per il presente ma anche per il lungo termine, le imprese italiane potranno cogliere questa situazione come un’opportunità reale. L’obiettivo non è semplicemente limitare i danni: è trasformare uno scenario difficile in un’occasione per crescere, per rafforzare la nostra posizione e per trovare nuovi modi di competere nel mondo.


L’Italia ha una lunga tradizione di capacità di adattamento ai cambiamenti del mercato globale, un’abilità che ci ha permesso di affrontare situazioni complicate in passato e di uscirne con una solidità ancora maggiore. Questa caratteristica è oggi più rilevante che mai: dobbiamo guardare al futuro con chiarezza e concentrarci su ciò che ci distingue e ci dà forza. Questo significa puntare sull’innovazione, lavorando per migliorare i processi produttivi e per introdurre soluzioni che rendano le nostre aziende più efficienti e pronte ad affrontare la concorrenza internazionale. Significa valorizzare la qualità, un aspetto che ha sempre caratterizzato i nostri prodotti e che continua a essere apprezzato dai consumatori di tutto il mondo. E significa anche cercare nuove alleanze economiche, costruendo rapporti con Paesi e regioni che possano diventare destinazioni alternative per il nostro export, permettendoci di ridurre la dipendenza dai mercati colpiti dalle misure americane.


“Dazi che chiudono, opportunità che aprono: il futuro è nelle nostre mani.”


La situazione che ci troviamo davanti è chiara: i dazi imposti da Trump rappresentano una chiusura per molti mercati, ma allo stesso tempo spalancano la porta a nuove opportunità che possiamo cogliere se sapremo agire con intelligenza. Sta a noi, come Paese e come collettività, decidere quale direzione prendere in questo momento cruciale. Abbiamo due opzioni davanti a noi: possiamo scegliere di restare fermi, limitandoci a osservare mentre le barriere commerciali si alzano e complicano i nostri scambi con il mondo, oppure possiamo reagire attivamente, tirarci su le maniche e affrontare questa situazione con energia e determinazione. Questo significa investire tempo e risorse in nuove soluzioni, sviluppare idee innovative che ci permettano di adattarci al cambiamento, cercare alleati strategici in altre parti del pianeta per ampliare i nostri orizzonti e utilizzare questa sfida come un’occasione per fare un passo avanti, trasformandola in un trampolino di lancio verso un futuro più solido.


La storia economica ci offre lezioni preziose che non possiamo ignorare: le economie che hanno dimostrato vera resilienza non si sono mai lasciate bloccare dagli ostacoli, per quanto grandi potessero sembrare. Al contrario, hanno trovato il modo di girare a loro favore anche le situazioni più difficili, vedendo in ogni problema una possibilità di rinnovamento e crescita. Per l’Italia, questo non è un concetto astratto: è una capacità che abbiamo già messo in pratica molte volte, affrontando crisi e cambiamenti con una combinazione unica di creatività e tenacia. Il cammino che ci aspetta non sarà semplice né privo di sacrifici: ci saranno momenti di incertezza e decisioni complesse da prendere. Ma se sapremo muoverci con una visione chiara, se riusciremo a lavorare insieme come sistema – imprese, istituzioni, cittadini – e se introdurremo azioni concrete e ben pianificate, allora potremo non solo superare questa prova, ma uscirne più forti, rendendo l’Italia una presenza ancora più competitiva e rispettata sullo scenario globale.


E ora, il momento di agire è arrivato. “Dazi che chiudono, opportunità che aprono: il futuro è nelle nostre mani.” Non è solo uno slogan: è una chiamata a raccolta per tutti noi. Possiamo scegliere di essere spettatori di un mondo che cambia senza il nostro contributo, oppure possiamo essere i protagonisti di una trasformazione che parte da qui, dalle nostre città, dalle nostre fabbriche, dalle nostre idee. La storia ci guarda, e il mondo aspetta di vedere cosa sapremo fare. Con coraggio, unità e un impegno che non si piega davanti alle difficoltà, possiamo costruire un’Italia che non si limita a resistere, ma che sa brillare, cogliendo ogni occasione per dimostrare al pianeta intero di cosa siamo capaci. Il futuro non è un regalo che ci viene concesso: è una conquista che dipende da noi, e oggi abbiamo la possibilità di scriverlo con le nostre mani.