di Michela Roi
La novella Direttiva sulla sostenibilità aziendale (n.d.r. Corporate Sustainability Reporting Directive, di seguito semplicemente “CSRD”) impatta sulle filiere produttive (n.d.r quell’insieme di aziende coinvolte in un processo produttivo che, dalle materie prime, attraverso vari livelli/fasi di lavorazione ed intermediazione, finalizzato al prodotto finito o all’erogazione del servizio) orientandole verso la Sostenibilità (c.d. Filiere Sostenibili).
L’argomento risulta centrale per il Legislatore Europeo, tant’è che le parole “catena del valore” o “supply chain” oppure “filiera produttiva” o similari ricorrono molte volte, nel corpo della richiamata Direttiva, ma anche negli altri testi normativi collegati.
D’altra parte, il cambiamento richiesto dal Regolatore, finalizzato a dare vita ad un processo di crescita Sostenibile, si costruisce attraverso l’impegno di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nel consumo e nel governo delle risorse: perciò nel “cammino” verso la Sostenibilità non possono non essere coinvolte le imprese facenti parte delle filiere produttive.
Per questo, la novella Direttiva introduce un principio ben preciso ovvero nella Relazione sulla Gestione deve essere inserita «(..) una descrizione (..) dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l’impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza». [così art. 19 bis, paragrafo 2, lett f), punto ii) della Direttiva 2013/34/UE così come modificata dalla CSRD ed art. 29 bis, paragrafo 2, lett f), punto ii) della Direttiva già richiamata].
Ne discende, quindi, che la Rendicontazione di Sostenibilità non riguarda solo la singola legal entity, ma coinvolge necessariamente tutta la catena del valore dell’azienda c.d. capofila, anche laddove la filiera fosse composta da PMI (non quotate), per le quali ad oggi non sussiste un obbligo “diretto” di redigere il Report di Sostenibilità.
Per questo, può dirsi senza tema di smentita che la filiera produttiva (e con essa le aziende che la compongono) diviene centro di cambiamento e trasformazione: il Legislatore richiede, di fatto, valutazione complessiva, basata sui criteri ESG, nella quale deve per forza rientrare l’intera filiera, considerato che l’impatto diretto di un’impresa si combina sempre a quello della sua supply chain.
Questo significa che alle PMI (non quotate) rientranti nella filiera è richiesto di mitigare il loro impatto negativo, quindi, anch’esse dovranno da un lato porre in essere processi idonei per ridurre l’impatto negativo sui fattori di sostenibilità e dall’altro avviarsi verso la Rendicontazione di Sostenibilità per “obbligo indiretto”, come detto, onde evitare di essere “espulse” dalla filiera.
Ma la Rendicontazione di Sostenibilità non deve essere “percepita” come un obbligo, seppur “indiretto”, ma come un’occasione per acquisire vantaggi, economici e di business.
Basta cambiare la prospettiva, considerato che i benefici che derivano dalla Rendicontazione di Sostenibilità non sono solo dal punto di vista degli ESG, ma anche in termini di reputazione e valore aziendale.
Per esempio, alcuni studi dimostrano come una tale “attività” e con essa la pubblicazione della Rendicontazione di Sostenibilità:
Quanto sopra, quindi, dovrebbe “aiutare” le PMI (non quotate) ad intraprendere il necessario cammino verso la Sostenibilità, perché in questa maniera le predette PMI (non quotate) si trasformano in “attori” della transizione, e quindi in coloro che contribuiscono attivamente alla creazione di filiere sostenibili sempre più numerose, abbandonando il “triste” “ruolo” di soggetti che “subiscono” la Sostenibilità sulla scorta delle richieste fatte dalle imprese a “capo” delle supply chain.


