di Lorenzo Aster
1. Colmare il divario di innovazione con gli USA e la Cina, in particolare nelle tecnologie avanzate; la struttura industriale europea è statica, poco dinamica sul fronte innovazione, con un basso tasso di natalità delle imprese operanti nel settore e una bassa capitalizzazione di mercato (nessuna società europea creata negli ultimi 50 anni supera i 100 miliardi di capitale); sono aziende specializzate in tecnologie mature, che spendono sempre meno in ricerca e sviluppo (le aziende americane nel 2021 hanno speso 270 miliardi di euro in più delle controparti europee). Tuttavia, il punto critico è nella fase successiva, ossia le aziende non riescono a commercializzare le proprie innovazioni e le (poche) grandi aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono ostacolate da una legislazione troppo restrittiva, talvolta incoerente. La conseguenza è semplice: molti imprenditori europei preferiscono cercare finanziamenti dai venture capitalist statunitensi ed insediarsi in quel mercato. Quasi il 30% delle start-up fondate in Europa tra il 2008 e il 2021, hanno deciso di trasferire la propria sede all’estero, in particolare negli USA, solo che ora queste imprese hanno un valore di mercato superiore a 1 miliardo di dollari. L’UE non può permettersi di rimanere ancorata alle tecnologie e alle industrie del secolo precedente. L’intelligenza artificiale avrà un ruolo strategico chiave nell’innovare e guidare le future tecnologie. Altro aspetto cardine sarà quello di investire nelle competenze della popolazione europea, in modo da sfruttare al meglio queste nuove tecnologie, garantendo che i benefici siano accessibili a tutti.
2. Un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività economica europea: la decarbonizzazione della nostra economia è un’opportunità da sfruttare, ma dobbiamo stare attenti a coordinare le politiche di tutti gli stati membri, altrimenti la stessa opportunità può trasformarsi in una minaccia. I prezzi del mercato dell’energia europea sono mediamente il triplo più alti di quelli americani. La ragione di questo differenziale di prezzo è dovuta al fatto che nel territorio europeo c’è una scarsità di risorse naturali, ma anche da problemi strutturali nel mercato energetico comune: le regole di mercato attuali impediscono a famiglie e industrie di beneficiare pienamente dell’energia pulita nelle loro bollette, ed inoltre, tasse elevate e gli alti profitti raccolti dai trader finanziari contribuiscono ad aumentare i costi energetici. È essenziale riuscire a sviluppare un piano di azione, che riesca a trasferire i benefici della decarbonizzazione ai consumatori finali, altrimenti i prezzi dell’energia continueranno ad influenzare (negativamente) la crescita.
L’UE detiene il primato di leader mondiale nelle tecnologie pulite e non è un caso se in Europa vengono sviluppate più di un quinto delle tecnologie pulite e sostenibili di tutto il mondo. È una grande opportunità di crescita per l’industria europea e non va sprecata. Eppure non è detto che il primato competitivo resti nelle mani europee: la Cina, negli ultimi anni, ha implementato una potente combinazione di politica industriale e sovvenzioni, innovazione rapida, controllo del mercato delle forniture di materie prime e capacità produttiva su scala continentale; il risultato è stato quello di una concorrenza acuta nei settori della tecnologia pulita e deii veicoli elettrici (il settore automobilistico da sempre ricopre un ruolo strategico importante nelle dinamiche produttive e commerciali delle aziende europee).
In questo scenario vi è un possibile compresso, quello di aumentare la dipendenza commerciale dalla Cina, per affrontare un percorso di decarbonizzazione più economico, rapido ed efficiente. Sebbene, questa sia la via più semplice, rimane anche la più rischiosa, poiché l’eccessiva dipendenza può rappresentare una minaccia per le nostre industrie produttive di tecnologia pulita e per le industrie automobilistiche.
3. Aumentare la sicurezza europea e ridurre le dipendenze dall’estero: la sicurezza è condizione necessaria affinché vi sia una crescita sostenibile. Negli ultimi anni l’aumento dei rischi geopolitici e l’incertezza politica di alcuni paesi hanno ridotto l’ammontare di investimenti, con ricadute disastrose anche sul commercio e le esportazioni europee. L’instabilità politica mondiale minaccia la crescita e la libertà, e l’Europa è particolarmente esposta, dato che molte delle materie prime critiche per le proprie industrie europee da pochi paesi esportatori; (basti pensare che circa l’80% della produzione globale dei chip proviene dall’Asia). In questo scenario di dipendenze commerciali è importante elaborare una vera e propria “politica economica straniera” dell’UE per garantire la nostra libertà. È importante che, negli anni a venire, l’Unione Europea sappia coordinare accordi commerciali preferenziali, investimenti diretti con nazioni ricche di risorse, costruire scorte di materie prime in aree critiche selezionate e creare partenariati industriali per garantire sicurezza nella catena di approvvigionamento delle tecnologie chiave.
Obiettivo principale è garantire la pace all’interno dei confini europei, ma la forza della nostra capacità industriale bellica non è competitiva come la controparte statunitense; si tratta di un industria frammentata, non capace di produrre su larga scala, soffrendo, anche, di una mancanza di standardizzazione nella sua produzione; ciò indebolisce la capacità dell’Europa di agire come potenza coesa.
Draghi nella prefazione del documento sottolinea anche come molti Stati Membri stiano mettendo in atto delle politiche industriali ambiziose, agendo tuttavia individualmente. La soluzione rimane sempre quella della cooperazione, e di agire come un’unica comunità.
È necessario sostenere gli obiettivi comuni in maniera coesa, con la fissazione e la programmazione di priorità chiare e/o seguire azioni politiche congiunte. Non ha senso affermare di voler favorire l’innovazione, pur continuando ad aggiungere limiti normativi alle aziende europee, particolarmente onerosi per le PMI operanti nei settori digitali, oppure aumentare gli ostacoli normativi ed oneri amministrativi che limitano la diffusione commerciale delle nuove innovazioni.
In secondo luogo, l’Europa sta sprecando le sue risorse condivise; pur avendo un forte potere d’acquisto collettivo, lo disperdiamo utilizzando troppi strumenti nazionali e dell’UE.
Ad esempio, non stiamo ancora unendo le forze nel settore della difesa per aiutare le nostre aziende a integrarsi e raggiungere la produzione su larga scala. Gli appalti collaborativi europei hanno rappresentato meno di un quinto della spesa per l’approvvigionamento di attrezzature di difesa nel 2022. Inoltre, non favoriamo le società di difesa europee competitive. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli appalti è andato a fornitori non UE, di cui il 63% è andato agli Stati Uniti.
Allo stesso modo, non collaboriamo abbastanza all’innovazione: il settore pubblico nell’UE spende circa tanto in R&I quanto gli Stati Uniti come quota del PIL, ma solo un decimo di questa spesa avviene a livello dell’UE.
In terzo luogo, L’Europa non coordina dove conta. Oggi, la strategia industriale americana e cinese, combina molteplici politiche, come le politiche fiscali per incoraggiare la produzione interna, la politica commerciale per penalizzare il comportamento anti- concorrenziale, oppure le politiche estere per garantire sicurezza nella catena di approvvigionamento.
Nel contesto europeo, il collegamento tra le varie politiche, in questo modo, richiede un alto grado di coordinamento, tra politiche interne nazionali e quelle dell’UE. Il processo decisionale, dunque, appare lento e frammentato, con la conseguenza che l’Unione europea non è in grado di produrre una risposta tempestiva alle esigenze delle proprie imprese.
Le decisioni vengono in genere prese problema per problema con più giocatori di veto lungo il percorso, e con un tempo medio di 19 mesi per concordare nuove leggi e affinché queste siano adottate in tutti gli stati membri.
Affinché, la strategia delineata in questo rapporto abbia successo, dobbiamo iniziare con una valutazione comune della posizione, degli obiettivi a cui vogliamo dare priorità, dei rischi che vogliamo evitare e dei compromessi che siamo pronti a fare.
Dobbiamo garantire che le nostre istituzioni democraticamente elette siano al centro di questi dibattiti. Le riforme possono essere veramente ambiziose e sostenibili solo se godono di un sostegno democratico.
E dobbiamo assumere una nuova posizione nei confronti della cooperazione: rimuovere gli ostacoli, armonizzare regole e leggi e coordinare le politiche. Ci sono diverse costellazioni in cui possiamo andare avanti. Ma quello che non possiamo fare è non andare avanti.
Per concludere con una citazione nel rapporto:
“Se l’Europa non può diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, al tempo stesso, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale.
Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. I valori fondamentali dell’Europa sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali.
Se l’Europa non può più fornirli al suo popolo – o deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragion d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente, attraverso la cooperazione di tutti”.


