di Andrea Striano
Responsabile Dipartimento Imprese & Mondi Produttivi – Fratelli d’Italia, Caserta
Nel 2024 l’Italia ha speso 51,1 miliardi di euro per importare energia, registrando un calo del 24% rispetto al 2023(fonte). Nonostante questo miglioramento, il dato resta impressionante: dimostra che non si tratta di un’emergenza passeggera, ma di una vulnerabilità strutturale che pesa sul presente e sul futuro del Paese. Ridurre questa dipendenza non significa soltanto alleggerire le bollette: è questione di competitività del sistema industriale italiano, di sicurezza nazionale e di libertà politica.
Negli ultimi anni, tra pandemia, guerra in Ucraina e tensioni sui mercati globali, l’Italia ha scoperto sulla propria pelle cosa significhi vivere senza una strategia di lungo periodo. L’attenzione pubblica si è concentrata sui rincari energetici e sulla difficoltà delle famiglie a sostenere i costi, ma la questione non si esaurisce nell’ambito domestico. Ogni aumento di prezzo, ogni ritardo negli approvvigionamenti, ogni incertezza contrattuale colpisce al cuore il tessuto produttivo. Le imprese hanno bisogno di stabilità per programmare investimenti, garantire occupazione e mantenere la propria presenza sui mercati internazionali. Senza energia non c’è economia, e senza economia non c’è Made in Italy.
Più del 74% del fabbisogno energetico nazionale proviene ancora dall’estero. Una dipendenza che non riguarda soltanto il gas, ma anche il petrolio e una parte rilevante delle tecnologie rinnovabili, i cui componenti principali – dai pannelli solari alle batterie – arrivano in larga misura dall’Asia. Ciò significa che, anche quando l’Italia investe nelle fonti pulite, rimane esposta alla volatilità di catene di fornitura lunghe e complesse, spesso condizionate da scelte geopolitiche su cui non ha alcun controllo.
Non possiamo permetterci di ragionare solo sul breve periodo, inseguendo emergenze e intervenendo con misure tampone. Serve una strategia coerente e lungimirante che tenga insieme due esigenze: diversificare le fonti e costruire una filiera interna in grado di garantire almeno parziale autonomia nelle forniture strategiche. Le rinnovabili, il gas, l’idrogeno e il biometano sono tasselli fondamentali di questo mosaico, ma da soli non bastano. Possono ridurre l’impatto ambientale e ampliare le opzioni, ma non risolvono il nodo centrale: come assicurare continuità , stabilità e capacità produttiva a un Paese che ha bisogno di energia costante e competitiva per sostenere il suo sistema industriale.
In questo quadro, il nucleare di nuova generazione riemerge come tema centrale. Non come bandiera ideologica né come nostalgico ritorno al passato, ma come scelta di pragmatismo e visione. Le tecnologie di quarta generazione, i reattori modulari di piccola taglia e le nuove soluzioni di sicurezza aprono scenari molto diversi da quelli che hanno alimentato paure e opposizioni negli anni Ottanta e Novanta. Oggi la vera domanda non è più se convenga tornare al nucleare, ma se l’Italia possa davvero pensare di restare competitiva senza una base energetica solida, autonoma e tecnologicamente avanzata.
Il dibattito pubblico ha ridotto troppe volte la questione a uno scontro tra chi immagina un futuro alimentato esclusivamente da rinnovabili e chi invoca il nucleare come unica soluzione. La realtà , invece, è che un sistema industriale moderno ha bisogno di equilibrio e complementarità . L’Italia non può rinunciare agli investimenti su solare, eolico, idrogeno e biometano, ma non può nemmeno illudersi che queste sole fonti possano garantire la stabilità necessaria. La vera forza sta nella capacità di integrare innovazione tecnologica, sostenibilità e sicurezza, superando l’approccio emergenziale che ha segnato troppe scelte passate.
Le imprese lo percepiscono chiaramente: senza energia accessibile e prevedibile nei costi non c’è possibilità di pianificare innovazione, internazionalizzazione e crescita. E se il sistema produttivo si indebolisce, anche l’immagine del Made in Italy perde credibilità sui mercati globali. Ogni decisione in materia energetica ha una ricaduta diretta sulla politica industriale, sull’occupazione, sull’export e, in ultima analisi, sul ruolo dell’Italia nel contesto internazionale.
I dibattiti politici e mediatici tendono a semplificare questioni complesse, ma l’energia non è terreno per slogan: è la base stessa della sovranità economica. Paesi come la Francia, che ha puntato sul nucleare, o la Germania, che ha investito in modo massiccio su rinnovabili e infrastrutture di rete, hanno oggi margini di manovra più ampi. L’Italia, invece, non può restare intrappolata tra la dipendenza dall’estero e i ritardi infrastrutturali: deve costruire un percorso chiaro e condiviso.
Questo significa pianificare investimenti di lungo periodo, incentivare la ricerca, sostenere la nascita di filiere interne e formare competenze adeguate. Significa soprattutto rimuovere tabù ideologici e guardare alla questione energetica per quello che realmente è: la condizione necessaria per il futuro industriale e politico del Paese. Non basta dichiarare di volere maggiore autonomia, occorre agire con strumenti concreti per costruirla.
In definitiva, la questione può essere riassunta in un concetto tanto semplice quanto decisivo: senza energia non c’è economia e senza autonomia non c’è futuro. Se l’Italia vuole difendere il proprio ruolo tra le grandi potenze industriali, deve imparare a trattare l’energia non come un problema da gestire di volta in volta, ma come il fondamento della sua crescita. Perché senza una base energetica solida e sicura, nessuna eccellenza produttiva, nessuna innovazione tecnologica e nessun marchio Made in Italy potrà resistere nel tempo.
L’energia non è un costo da subire, è la chiave di ogni libertà .


