L’IMPATTO DELLA CSRD SUGLI ORGANI SOCIALI: l’organo amministrativo e l’impresa sostenibile
di Michela Roi
La novella Corporate Sustainability Reporting Directive (di seguito semplicemente “CSRD”) impatta sulla Corporate Governance delle aziende, che deve affrontare una “necessitata” evoluzione, di pari passi con l’evoluzione del modello di business e della “nuova” cultura del fare impresa.
D’altra parte, la Governance rappresenta lo strumento attraverso il quale l’azienda realizza il proprio business e gestisce i propri rischi, tant’è che tale “elemento” è ricompreso nei noti fattori ESG (Environmental – Social – Governance).
Il Legislatore europeo, sostanzialmente, chiede all’impresa di “abbandonare” il vecchio “agere” del “navigare a vista”, per passare ad un comportamento/gestione aziendale “ragionata”.
E non può essere diversamente, poiché il principio di sostenibilità assume un carattere “talmente” vincolante in ambito euro-unitario da incidere financo sulla c.d. business judgment rule.
Alla luce di ciò, può dirsi che l’Organo Amministrativo di un’impresa viene chiamato ad una responsabilità “ulteriore”, cioè non più relegata ai soli dati finanziari, ma anche ai “dati non finanziari”, considerato che la Rendicontazione di Sostenibilità viene inserita nella Relazione sulla Gestione, “allegata” al bilancio.
Di più, l’Organo Gestorio è chiamato ad ampliare il perimetro delle “analisi”, come pure a considerare e valutare molteplici ed ulteriori profili, interessi e rischi, prima di ogni decisione, affinchè ogni scelta e/o provvedimento risulti consapevole.
In sostanza l’Organo Amministrativo non solo ha la responsabilità di giungere ad una decisione sulla base di una adeguata informazione (n.d.r. alla base della novella CSRD vi è il generale principio dell’agire informato), ma deve anche adempiere ai doveri di informazione normativamente previsti, poiché laddove dovesse ritardare o omettere il deposito del report di sostenibilità potrebbe incorrere in “sanzioni”, avendo sostanzialmente omesso e/o ritardato il deposito del bilancio presso il Registro delle Imprese.
Per questo, molti Autori ritengono opportuno parlare di una vera e propria “Corporate Governance ESG” e questo anche alla luce del dettato del paragrafo 1 dell’art. 33 della Direttiva 2013/34/UE, così come modificato dalla CSRD.
D’altra parte, il richiamato articolo arriva financo a palesare una “responsabilità collettiva” dei membri dell’Organo di Amministrazione, gestione e controllo in ordine agli obblighi in materia di informativa sulla sostenibilità, segnatamente con riferimento alla comunicazione delle informazioni nella Relazione sulla Gestione nel formato digitale normativamente richiesto, pubblicandoli.
Il novello Legislatore, cioè, ha voluto eliminare:
la possibilità, per l’azienda, di predisporre una relazione “separata” per le informazioni sulla sostenibilità;
la possibilità, per l’impresa, di non pubblicare le informazioni sulla sostenibilità.
Sostanzialmente, quindi, con la CSRD, si sono “ridotti” i “gradi di libertà” degli Organi Sociali in materia di sostenibilità. A ciò si aggiunga che gli Amministratori di una società hanno su di loro anche la responsabilità di impedire la c.d. pubblicità ingannevole ai fini della sostenibilità (c.d. greenwashing): è vietato utilizzare politiche di marketing eco-friendly in assenza di effettive politiche finalizzate alla sostenibilità.
Se ciò dovesse accadere, infatti, i soggetti che dovessero interagire con una siffatta impresa potrebbero contestare un tale comportamento, con tutte le conseguenze “negative” in termini, per quel che riguarda l’ordinamento italiano, di annullabilità/nullità dei contratti come pure di risarcimento del danno, elevandosi al massimo, quindi, il rischio legale, tralasciandosi, in questa sede, gli eventuali profili penali.
D’altra parte, lo stesso quadro costituzionale italiano milita in tal senso, poiché il Legislatore nel 2022, con la L. Cost. 1/2022 ha innovato gli artt. 9 e 41 Cost. e così facendo sembra:
da un lato richiamare, con la novella, la definizione di “Sviluppo Sostenibile” che fu elaborata per la prima volta nel Rapporto Brundtland del 1987, e dall’altro consacrare l’ambiente quale principio costituzionale fondamentale ex se (c.f.r. art. 9 Cost);
aver individuato l’ambiente e la salute quale esplicito limite alla libertà di iniziativa economica privata, per cui l’iniziativa economica non deve arrecare pregiudizio o ledere la salute e l’ambiente (c.f.r. art. 41 Cost).
Ed allora, come fatto notare da molti Autori, in questo quadro europeo e nazionale, si staglia prepotentemente la figura della c.d. Impresa Sostenibile.
La novella Corporate Sustainability Reporting Directive (di seguito semplicemente “CSRD”) impatta sulla Corporate Governance delle aziende, che deve affrontare una “necessitata” evoluzione, di pari passi con l’evoluzione del modello di business e della “nuova” cultura del fare impresa.
D’altra parte, la Governance rappresenta lo strumento attraverso il quale l’azienda realizza il proprio business e gestisce i propri rischi, tant’è che tale “elemento” è ricompreso nei noti fattori ESG (Environmental – Social – Governance).
Il Legislatore europeo, sostanzialmente, chiede all’impresa di “abbandonare” il vecchio “agere” del “navigare a vista”, per passare ad un comportamento/gestione aziendale “ragionata”.
E non può essere diversamente, poiché il principio di sostenibilità assume un carattere “talmente” vincolante in ambito euro-unitario da incidere financo sulla c.d. business judgment rule.
Alla luce di ciò, può dirsi che l’Organo Amministrativo di un’impresa viene chiamato ad una responsabilità “ulteriore”, cioè non più relegata ai soli dati finanziari, ma anche ai “dati non finanziari”, considerato che la Rendicontazione di Sostenibilità viene inserita nella Relazione sulla Gestione, “allegata” al bilancio.
Di più, l’Organo Gestorio è chiamato ad ampliare il perimetro delle “analisi”, come pure a considerare e valutare molteplici ed ulteriori profili, interessi e rischi, prima di ogni decisione, affinchè ogni scelta e/o provvedimento risulti consapevole.
In sostanza l’Organo Amministrativo non solo ha la responsabilità di giungere ad una decisione sulla base di una adeguata informazione (n.d.r. alla base della novella CSRD vi è il generale principio dell’agire informato), ma deve anche adempiere ai doveri di informazione normativamente previsti, poiché laddove dovesse ritardare o omettere il deposito del report di sostenibilità potrebbe incorrere in “sanzioni”, avendo sostanzialmente omesso e/o ritardato il deposito del bilancio presso il Registro delle Imprese.
Per questo, molti Autori ritengono opportuno parlare di una vera e propria “Corporate Governance ESG” e questo anche alla luce del dettato del paragrafo 1 dell’art. 33 della Direttiva 2013/34/UE, così come modificato dalla CSRD.
D’altra parte, il richiamato articolo arriva financo a palesare una “responsabilità collettiva” dei membri dell’Organo di Amministrazione, gestione e controllo in ordine agli obblighi in materia di informativa sulla sostenibilità, segnatamente con riferimento alla comunicazione delle informazioni nella Relazione sulla Gestione nel formato digitale normativamente richiesto, pubblicandoli.
Il novello Legislatore, cioè, ha voluto eliminare:
la possibilità, per l’azienda, di predisporre una relazione “separata” per le informazioni sulla sostenibilità;
la possibilità, per l’impresa, di non pubblicare le informazioni sulla sostenibilità.
Sostanzialmente, quindi, con la CSRD, si sono “ridotti” i “gradi di libertà” degli Organi Sociali in materia di sostenibilità. A ciò si aggiunga che gli Amministratori di una società hanno su di loro anche la responsabilità di impedire la c.d. pubblicità ingannevole ai fini della sostenibilità (c.d. greenwashing): è vietato utilizzare politiche di marketing eco-friendly in assenza di effettive politiche finalizzate alla sostenibilità.
Se ciò dovesse accadere, infatti, i soggetti che dovessero interagire con una siffatta impresa potrebbero contestare un tale comportamento, con tutte le conseguenze “negative” in termini, per quel che riguarda l’ordinamento italiano, di annullabilità/nullità dei contratti come pure di risarcimento del danno, elevandosi al massimo, quindi, il rischio legale, tralasciandosi, in questa sede, gli eventuali profili penali.
D’altra parte, lo stesso quadro costituzionale italiano milita in tal senso, poiché il Legislatore nel 2022, con la L. Cost. 1/2022 ha innovato gli artt. 9 e 41 Cost. e così facendo sembra:
da un lato richiamare, con la novella, la definizione di “Sviluppo Sostenibile” che fu elaborata per la prima volta nel Rapporto Brundtland del 1987, e dall’altro consacrare l’ambiente quale principio costituzionale fondamentale ex se (c.f.r. art. 9 Cost);
aver individuato l’ambiente e la salute quale esplicito limite alla libertà di iniziativa economica privata, per cui l’iniziativa economica non deve arrecare pregiudizio o ledere la salute e l’ambiente (c.f.r. art. 41 Cost).
Ed allora, come fatto notare da molti Autori, in questo quadro europeo e nazionale, si staglia prepotentemente la figura della c.d. Impresa Sostenibile.