IL METODO LEAN - IL SISTEMA ITALIA, LA PRODUTTIVITA E IL LEAN SIX SIGMA
di Pietro Schioppetto
Con periodicità variabile ma in genere legata alle fasi di restrizione della spesa pubblica, come quella che sembra imminente con l’insediamento della nuova Commissione Europea, ritornano gli interventi sul gap di produttività del sistema economico italiano, come sul Sole24Ore il recente “Pmi, sull’Italia pesano gap di produttività e bassa scalabilità”.
I termini del problema sono noti. L’Italia, terra di piccole e micro-aziende, arranca nella classifica mondiale della competitività, riducendo così la sua capacità di aggiornamento tecnologico e crescita dei salari. Il sistema politico dovrebbe quindi liberalizzare per favorire la crescita di giganti privati e “unicorni tecnologici”. Ma la questione è davvero ben posta?
Quello dell’aumento della produttività delle PMI è certamente un tema di grande rilievo che andrebbe anzi affrontato in maniera programmatica e strutturale, non reattiva come invece purtroppo avviene. Il vero problema però è che sia le analisi giornalistiche sia i paper accademici tendono ad affrontare la questione italiana in maniera aggregata, non considerando le macroscopiche differenze tra i diversi settori e aree del paese.
Nei loro numerosi interventi per il Foglio e Huffington Post, poi raccolti da Il Mulino e Fondazione Edison in “Pandemia, competenza e ricostruzione”, Marco Fortis e Alberto Quadrio Curzio hanno messo spesso in evidenza due elementi di analisi cruciali. Il primo è fatto misconosciuto che il livello di produttività in Italia si divide nettamente tra un “Pil A - Performante”, composto a) della domanda interna privata (esclusa edilizia); b) dei settori produttivi, del commercio e del turismo; c) del nord-centro Italia. e un “Pil B - Sotto-performate” generato da a) l’industria delle costruzioni (pubbliche e private) e dei consumi finali della Pubblica amministrazione; b) i settori e i servizi pubblici infrastrutturali e di servizio, nonché le banche; c) il Mezzogiorno.
Il secondo punto di attenzione è come il livello di produttività del sistema risulti effettivamente basso rispetto ai partner europei solo se considerato in forma aggregata ma sia in realtà costantemente più alto delle medie europee se si confrontano piccole aziende con piccole aziende, medie con medie etc. Il dato diventa addirittura impressionante se si disaggregano i dati del Pil A e del Pil B.
Tutto questo per spiegare come la condizione attuale del sistema produttivo, in cui sono centrali le PMI e i settori di punta sono le cosiddette “multinazionali tascabili”, altamente innovative e dirette al mercato estero, può essere tanto un peso per il resto del paese quanto un’opportunità. Da un lato, sistema politico e società civile hanno il compito di raddrizzare la barra del “Pil sottoperformante” utilizzando la leva legislativa, del lobbying a livello europeo, dell’istruzione, delle infrastrutture, degli incentivi e del credito.
Dall’altro lato, le aziende che generano il ”Pil Performante” hanno non solo la possibilità ma anche la responsabilità di trainare il sistema economico tramite il costante miglioramento dei loro processi aziendali. Queste aziende, di tutte le dimensioni e settori, non solo dovrebbero perseguire il Miglioramento Continuo dei propri processi per ridurre gli sprechi e aumentare i profitti ma anche applicarlo in chiave strategica verso due aree al di fuori dell’orizzonte immediato dell’azienda.
Il primo fronte da curare è quello dei fornitori: allineando le procedure interne dell’azienda ai principi Lean, che comprendono migliore gestione dei magazzini e riduzione delle non-conformità si genera un forte elemento di selezione dei sub-fornitori di parti e servizi che può spingere queste compagnie a efficientare esse stesse, applicando i principi Lean. Questo processo sarebbe poi di particolare vantaggio se andasse a coinvolgere le aziende facenti parte del “Pil Sottoperformante”.
Il secondo e cruciale elemento è invece quello della liberazione di risorse per la ricerca e l’innovazione tecnologica. Un’azienda performante, grazie al L6S, può liberare grandi risorse sottoutilizzate o a volte semplicemente non rappresentate adeguatamente nel bilancio aziendale e utilizzarle per finanziare ricerca e mantenere così il proprio vantaggio competitivo.
Con periodicità variabile ma in genere legata alle fasi di restrizione della spesa pubblica, come quella che sembra imminente con l’insediamento della nuova Commissione Europea, ritornano gli interventi sul gap di produttività del sistema economico italiano, come sul Sole24Ore il recente “Pmi, sull’Italia pesano gap di produttività e bassa scalabilità”.
I termini del problema sono noti. L’Italia, terra di piccole e micro-aziende, arranca nella classifica mondiale della competitività, riducendo così la sua capacità di aggiornamento tecnologico e crescita dei salari. Il sistema politico dovrebbe quindi liberalizzare per favorire la crescita di giganti privati e “unicorni tecnologici”. Ma la questione è davvero ben posta?
Quello dell’aumento della produttività delle PMI è certamente un tema di grande rilievo che andrebbe anzi affrontato in maniera programmatica e strutturale, non reattiva come invece purtroppo avviene. Il vero problema però è che sia le analisi giornalistiche sia i paper accademici tendono ad affrontare la questione italiana in maniera aggregata, non considerando le macroscopiche differenze tra i diversi settori e aree del paese.
Nei loro numerosi interventi per il Foglio e Huffington Post, poi raccolti da Il Mulino e Fondazione Edison in “Pandemia, competenza e ricostruzione”, Marco Fortis e Alberto Quadrio Curzio hanno messo spesso in evidenza due elementi di analisi cruciali. Il primo è fatto misconosciuto che il livello di produttività in Italia si divide nettamente tra un “Pil A - Performante”, composto a) della domanda interna privata (esclusa edilizia); b) dei settori produttivi, del commercio e del turismo; c) del nord-centro Italia. e un “Pil B - Sotto-performate” generato da a) l’industria delle costruzioni (pubbliche e private) e dei consumi finali della Pubblica amministrazione; b) i settori e i servizi pubblici infrastrutturali e di servizio, nonché le banche; c) il Mezzogiorno.
Il secondo punto di attenzione è come il livello di produttività del sistema risulti effettivamente basso rispetto ai partner europei solo se considerato in forma aggregata ma sia in realtà costantemente più alto delle medie europee se si confrontano piccole aziende con piccole aziende, medie con medie etc. Il dato diventa addirittura impressionante se si disaggregano i dati del Pil A e del Pil B.
Tutto questo per spiegare come la condizione attuale del sistema produttivo, in cui sono centrali le PMI e i settori di punta sono le cosiddette “multinazionali tascabili”, altamente innovative e dirette al mercato estero, può essere tanto un peso per il resto del paese quanto un’opportunità. Da un lato, sistema politico e società civile hanno il compito di raddrizzare la barra del “Pil sottoperformante” utilizzando la leva legislativa, del lobbying a livello europeo, dell’istruzione, delle infrastrutture, degli incentivi e del credito.
Dall’altro lato, le aziende che generano il ”Pil Performante” hanno non solo la possibilità ma anche la responsabilità di trainare il sistema economico tramite il costante miglioramento dei loro processi aziendali. Queste aziende, di tutte le dimensioni e settori, non solo dovrebbero perseguire il Miglioramento Continuo dei propri processi per ridurre gli sprechi e aumentare i profitti ma anche applicarlo in chiave strategica verso due aree al di fuori dell’orizzonte immediato dell’azienda.
Il primo fronte da curare è quello dei fornitori: allineando le procedure interne dell’azienda ai principi Lean, che comprendono migliore gestione dei magazzini e riduzione delle non-conformità si genera un forte elemento di selezione dei sub-fornitori di parti e servizi che può spingere queste compagnie a efficientare esse stesse, applicando i principi Lean. Questo processo sarebbe poi di particolare vantaggio se andasse a coinvolgere le aziende facenti parte del “Pil Sottoperformante”.
Il secondo e cruciale elemento è invece quello della liberazione di risorse per la ricerca e l’innovazione tecnologica. Un’azienda performante, grazie al L6S, può liberare grandi risorse sottoutilizzate o a volte semplicemente non rappresentate adeguatamente nel bilancio aziendale e utilizzarle per finanziare ricerca e mantenere così il proprio vantaggio competitivo.