di Andrea Striano
Responsabile Dipartimento Imprese & Mondi Produttivi – Fratelli d’Italia, Caserta
Entro il 2030 la domanda di lavoro nel settore marittimo crescerà del 10%.”
Non è un numero da leggere distrattamente: dentro questa percentuale c’è un cambiamento enorme che riguarda l’economia, l’ambiente e, soprattutto, il lavoro di migliaia di persone. È il segnale che il mare, da sempre fonte di ricchezza e commercio, sta diventando oggi il cuore di una nuova stagione fatta di innovazione e sostenibilità.
L’Italia, con i suoi ottomila chilometri di coste, conosce bene il valore del mare. Ma le antiche tradizioni marinare, i porti e le rotte commerciali non bastano più a garantire competitività. Oggi la spinta arriva dalla digitalizzazione, dall’intelligenza artificiale, dai sistemi satellitari, da sensori capaci di leggere i fondali o prevedere l’impatto di una mareggiata. Quello che era un settore solido ma tradizionale si sta trasformando in un ecosistema complesso, dove logistica, energia, tutela ambientale e turismo si intrecciano in modi nuovi.
La blue economy è la parola chiave di questa transizione. In Europa vale già centinaia di miliardi di euro, e in Italia rappresenta un potenziale enorme. Ogni porto, ogni tratto di costa, ogni impresa che guarda al mare può diventare parte di una catena di valore che genera lavoro, ricerca e sviluppo. Non a caso, entro pochi anni la richiesta di professioni legate al mare crescerà sensibilmente. Ma attenzione: non parliamo solo di pescatori, marinai o cantieristi. Le nuove figure richieste saranno data analyst specializzati, ingegneri navali che progettano navi a basse emissioni, manager della sostenibilità blu, esperti di logistica digitale capaci di coordinare porti interconnessi.
E qui sta la sfida: avere le persone giuste, con le competenze giuste. Senza formazione, la crescita occupazionale rischia di rimanere solo un numero sulla carta. Le università, gli istituti tecnici, i centri di ricerca e le imprese devono lavorare insieme per costruire percorsi aggiornati. Non basta inserire un modulo di informatica nei programmi: bisogna ripensare interi percorsi di studio, integrare discipline, offrire aggiornamento continuo a chi già lavora. È questa la condizione per non perdere il treno della rivoluzione blu.
Il tutto assume un significato ancora più forte se guardiamo alla nostra posizione geografica. L’Italia è al centro del Mediterraneo, crocevia naturale di merci e persone. Più del 70% del nostro commercio estero viaggia via mare: ogni miglioramento nella gestione portuale, nella logistica o nelle rotte ha un impatto diretto sull’intera economia nazionale. Restare indietro significherebbe rinunciare a un vantaggio competitivo naturale che molti altri Paesi ci invidiano.
In questo scenario la sostenibilità non è un dettaglio, ma un punto fermo. Il mare è una risorsa potente, ma fragile. Plastica, inquinamento e cambiamenti climatici sono minacce reali che non possiamo ignorare. Anche qui la tecnologia offre strumenti preziosi: sensori che monitorano la qualità delle acque, software predittivi che riducono i rischi, rotte digitali che tagliano consumi ed emissioni. L’innovazione, se ben gestita, può diventare la migliore alleata della sostenibilità.
Tutto converge verso la stessa conclusione: siamo davanti a una trasformazione che richiede visione e coraggio. Servono politiche pubbliche capaci di creare le condizioni giuste, servono imprese pronte a investire e serve una società che creda nel mare come motore di sviluppo. Non basta qualche misura isolata, non bastano proclami: ciò che occorre è una strategia nazionale che consideri la blue economy non come settore di nicchia, ma come colonna portante del futuro industriale e occupazionale del Paese.
Il dato del 10% di crescita occupazionale entro il 2030, quindi, non è un dettaglio statistico. È un avviso: il futuro sta arrivando e bisogna farsi trovare pronti. Il tempo per prepararsi non è infinito. Ogni anno che passa aumenta il rischio di non avere abbastanza competenze per intercettare la domanda del mercato.
Per l’Italia la sfida è chiara: o si resta spettatori, lasciando che altri Paesi attraggano talenti e investimenti, o si sceglie di guidare questa rivoluzione, trasformandola in opportunità per le imprese, per i giovani e per l’ambiente.
Il mare ci mette davanti a un bivio. Possiamo accontentarci di custodire il passato, oppure possiamo abbracciare il futuro. E in fondo la risposta è semplice: il mare non è solo orizzonte, ma futuro. Chi governerà la rivoluzione blu guiderà la crescita. Investire in competenze significa investire nella nostra sovranità marittima.
Il futuro del mare riguarda tutti: condividete questo messaggio, perché la rivoluzione blu è una sfida nazionale.


